LA FINESTRA SULLA SCENA

FAMIGLIE A TEATRO - Stagione di teatro per ragazzi 2018/2019

2 dicembre 2018 ore 17:00 - Teatro Remigio Paone, Formia

I Guardiani dell'Oca, Chieti
MOBY DICK
Favola musicale con attori e pupazzi liberamente tratta dal romanzo 'Moby Dick di Herman Melville
con Raffaeulla Mutani, Tiziano Feola, Tommaso Di Giorgio
pupazzi Ada e Mario Mirabassi
testi Zenone Benedetto

Bisogna essere folli come un Achab per poter anche solo cominciare a pensare alla possibilità di un adattamento teatrale di Moby Dick. Per ragazzi, per di più. Bisogna essere pazzi abbastanza da credere che la magia della suggestione della scena possa avere tanta presa da aggrapparsi alla poca capacità di sognare delle generazioni degli smartphone e dell'iperconnettività a una rete che non è quella dei pescatori, ma quella ben più insidiosa di Internet.
Soprattutto bisogna avere negli occhi ancora tanta utopia e desiderio di fare.
Cose, queste ultime, che nella nostra Italia intristita e impigrita, incattivita ed egoista sono diventate merce rara.
A provarci questa volta sono I guardiani dell'Oca, con un adattamento multiforme che vince la sfida impossibile di tenere fermo un pubblico bambino davanti a temi universali come la sete di assoluto, lo scontro col divino, la scoperta numinosa della grandiosità del creato e la sete di vendetta.

La prima domanda che ci si pone, durante la visione è quale sia esattamente il target di riferimento dello spettacolo. Parlare di pubblico di ragazzi è, infatti, sempre estremamente difficile perché esso è incredibilmente differenziato e non sempre quel che può andar bene ai settenni è altrettanto adeguato ai decenni o, ancor più, ai quindicenni.
Nel caso di questo Moby Dick, la presenza in scena di alcuni burattini (sempre bellissimi) a dare personaggi non certo secondari come Starbuck, parrebbe far pendere l'ago della bilancia verso un pubblico di scuole elementari. Eppure la complessità del linguaggio del testo (di Zenone Benedetto), che spesso pesca a piene mani direttamente dalle pagine dell'immenso romanzo di Melville, come pure la scelta di lasciare alla suggestione dei gesti e dei suoni la possibilità di evocare, nella mente e negli occhi di chi guarda, scenari altri dal puro e semplice fondale, come già nel teatro elisabettiano, sembrerebbe spostare l'ago della bilancia verso un'adolescenza che già confina con preoccupazioni più adulte. I due estremi dello spettro, insomma, che in genere tendono a escludersi a vicenda perché al sedicenne poco garba sentirsi considerato ancora bambino da chi gli porge un pomeriggio a teatro e, allo stesso modo, il bambino più piccolo combatte lo sbadiglio quando non troppo capisce quel che gli viene detto.
Per tutti questi motivi lo snodo più critico dello spettacolo, cui non sempre si offre una soluzione del tutto convincente, sta proprio nella capacità di gestire i burattini, tenendoli in equilibrio tra quell'aura fanciullesca che resta impressa nell'ingombro della gommapiuma e la dimensione più arcana di pura evocazione di un fantasma, spettro di una scena possibile in un altrove intangibile.

Ecco, se proprio un difetto dobbiamo cercare in questa superba macchina scenica, questo è il non aver ancora trovato il perfetto equilibrio nel rapporto tra attore e maschera, tra fisicità e oggetto. Un difetto che si sente nella primissima parte dello spettacolo, quando ancora la nave non ha pienamente dispiegato le vele e quando la macchina, non ancora a regime, è ancora distante dal portentoso ritmo del finale che tutto travolge e addrizza.
Difetto piccolo, leggero incaglio di interpreti o, forse, ancora di regia che non inficia, comunque, la suggestione di uno spettacolo grande che continuamente rimodula i limiti della scena con risultati sorprendenti.

Al centro di tutto una struttura semovente, capace di ruotare su se stessa, che si apre ai lati in due braccia autonome nei movimenti che possono, alla bisogna, diventare i letti di una camera d'albergo, come la prua e la poppa di una lancia in mezzo al mare. In alto si apre lo spazio di un cassero di poppa (luogo necessario per permettere soprattutto l'azione dei burattini) sormontato da un albero maestro su cui è montata una vela quadra e da cui scendono cordami. La struttura è dispiegata un po' per volta e poi fatta ruotare, ai cambi di scena, offrendosi al pubblico su più fronti in un gioco reso ancor più cangiante da una complessa drammaturgia di luci che rappresenta uno dei punti di maggior forza dello spettacolo.
è anzi proprio attraverso la modulazione dei colori, rinforzata da una ben orchestrata sinfonia di suoni, musiche e rumori marini (toccante in particolare il canto delle balene) che la narrazione riesce nell'impresa di definire alcuni momenti salienti (la scena della caccia, quella dei fuochi fatui, il poderoso finale con il fantasma di Moby Dick che sovrasta in mole l'ordinata geometria del Pequod) rendendoli vere e proprie isole drammaturgiche nel flusso travolgente e marino dell'azione.
Di particolare efficacia, dal punto di vista scenico, le aste che sorreggono le lanterne del cassero (simbolo stesso dei motivi commerciali alla base della caccia alla balena) che, rimodulate, divengono dapprima i remi della lancia e infine gli arpioni necessari alla caccia. Segno di come si possa con poco sforzo portare a significati diversi, eppur interconnessi, gli stessi oggetti scenici.

In questa prospettiva lo spettacolo funziona ed è anzi grandioso anche se si sente, nel finale, la mancanza di un punto di rottura, della scena, che segni in maniera anche visiva e sonora, la sconfitta della ragione umana di fronte al mistero del mondo. Magari il rompersi dell'albero maestro o anche solo il cedimento delle funi che dia maggior slancio al passaggio dalla maestà dell'imbarcazione al senso di relitto che accoglie il gesto di resa e abbandono di Ismaele. Immagino sia chiedere tanto a una struttura scenica così ampiamente sfruttata, e probabilmente si sbatte contro un ostacolo insormontabile, ma non riesco a non vivere la cosa come una piccola mancanza.

Ad ogni modo Moby Dick è spettacolo che gronda coraggio e determinazione in ogni suo momento e riesce, nello spazio aureo della sua durata ideale, che sfiora l'ora, a condensare il senso di un'avventura e la magia di un racconto. E lo fa con invincibile suggestione e la capacità di tenere le fila di un continuo sogno ad occhi aperti, reso possibile dall'indubbia efficacia degli interpreti e dalla straordinaria qualità di tecnica e regia. Il tutto a riscoprire, con incanto, quanto Shakespeare respiri, in fondo, anche nelle pagine di Melville.

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