Abor, Ghana 15 settembre 2018
Tornare è come ridiscendere in una miniera già utilizzata con la paura di non trovare più nulla, di essere travolto da un già visto, già stato, senza possibilità di emozionarti, con i cuniculi in disuso e i carrelli vuoti, gli attrezzi arrugginiti ma non è così.
Quando il cancello del centro di padre Joe si apre, è uno tsunami di sensazioni che ti avvolge, colori, suoni, odori e abbracci, abbracci, di occhi, di mani, di pelle, di ricordi, di un amore che non conosce dighe. Il tempo non sbiadisce i contorni, li rinforza, li ricalca come con i pastelli colorati che da bambini usavamo per fare i disegni più forti.
Quando si va via da un luogo dove hai lasciato il cuore e l'anima un pò sai che non ritornerai a riprenderli, dovrai ricostruire un cuore nuovo e un'anima danzante mano a mano che ti allontani. Così è stato anche qui in
Ghana due anni fa, ti lasci sempre dicendoti che tornerai da lì a poco ma sai che presto, sempre troppo presto, sarai risucchiato dalla corrente del tuo quotidiano, della tua vita, i tuoi luoghi, i tuoi impegni, lavori, amori, gioie e dolori... Ma ora siamo qui di nuovo, siamo ad Abor, ombelico di un mondo sconosciuto fino a che non ci caschi dentro,
In May Father's House, la comunità di padre Joe, il Comboniano che riesce a farmi dire il Padre nostro che neanche don Mario 'Ratta Ratta' alla prima comunione, con il giglio bianco attaccato
alla candela che si squagliava per il caldo e mio padre e mia madre in ultima fila a cercare di farmi sorridere.Non mi è mai piaciuta la messa con i suoi 'alzati e risiediti', i suoi gesti sempre uguali... ora sono a Abor, Ghana, e sono seduto e mi alzo in una chiesa dove cantano tutti in piedi 'O MAMMA MAMMA MAMMA...'.Tornare e trovare il centro di padre Joe tutto pavimentato negli enormi spazi esterni è davvero uno shock, uno spazio immenso dove prima c'era solo polvere e fango, vialetti da spazzare tutti i giorni per tener lontani i cobra, ora è tutto mattonato, niente polvere fin dentro le lenzuola, niente fango fin dentro le unghie. È una lezione continua venire qui, tutto il meglio per questi bambini, ultimi tra gli ultimi, primi per padre Joe, ed allora se sono primi vanno trattati al meglio delle possibilità, anzi di più. Padre Joe è un eroe invisibile un vero super eroe, sapessi disegnare lo metterei vicino all'Uomo Ragno e a Capitan America... salva vite vere lui però, lo fa veramente senza scudi e ragnatele, solo con la forza della sua fede e del suo credo... certo sono un osso duro, con il
Pater Noster a stento me la cavo, per alzarmi e sedermi devo sempre guardarmi intorno per non sbagliare, ma o mamma mamma mamma nel libretto della liturgia ci sta proprio bene.. non me ne voglia don Maurizio di Rienzo a Marina di Minturno.
Cristopher sembra uscito da un fotogramma di
Via col vento, uno di quegli omini neri neri neri che sanno solo lavorare e sorridere. Oggi, nel rivedermi comparire nella cucina tutto legna e pentoloni, fumo e polenta, si è emozionato da farmi commuovere, abbracci e salti di gioia. Giusto il tempo di ritrovarsi e poi seduti sulla panca a sbucciare
pannocchie e a farsi prendere in giro dalle donnone che impastano e mescolano, ridono e cantano.
Davvero tornare è un riavvolgere la pellicola di un film per girarci sopra quello nuovo, così le immagini si sovrappongono come pure le idee, tutto si sdoppia e si raddoppia, un effetto sbronza che ti fa vivere in uno stato d'ebrezza costante.
Al mercato di Acaci, per esempio, immenso, imponente per estensione e per frequentazione, simile ad una immensa giostra tutta luci, cavallucci e calcinculo, due anni fa ero troppo intimidito da tutto questo, troppo... oggi mi muovevo come fossi al mercato degli stracci di casa mia al giovedì, danzavo tra i banchi, i sorrisi, le nuvole di vapore e gli odori densi dei pesci affumicati, le piramidi di pomodori, i sacchi di carbonella ad asciugare, i seni ad allattare, cocchi, conche d'allumino grandi come vasche e stoffe variopinte uscite lì lì da un arcobaleno e messe a sgocciolare.
Una umanità strabordante, vera, vociante, strombazzante di clacson e motorette, carretti, putipù e campanacci. Non c'è tempo per commuoversi ed impietosirsi,
c'è ben altro da fare, c'è da vivere.
Il 18 settembre di dieci anni fa, a Castel Volturno, vennero brutalmente uccisi sei ghanesi dalla camorra, una strage tutta bianca, casalese, un messaggio per tutti gli africani onesti che lavorano lì, nell'Africa di casa nostra: tenete giù la testa, non affrancatevi che ci servite come manodopera mal pagata, punto e basta.
La più straordinaria voce africana di tutti i tempi, Miriam Makeba, decide a novembre dello stesso anno di chiudere in quel buco di Italia la sua vita, cantando per loro la sua ultima canzone,
Pata Pata. Così si vive e si muore, nelle Afriche del mondo, sogni in spalla e terra rossa tra le mani, non cè tempo per commuoversi ma per rimboccarsi le paure SI, per schiacciare tra le scarpe della coscienza l'indifferenza SI, per bruciare in un falò il fragoroso bisogno di apparire SI.
Se sapete fare qualcosa venite qui ad insegnarla,
In My Father's House da padre Joe ed i suoi bambini... e se non sapete fare nulla veniteci lo stesso, ma ad imparare.
Qui il tempo è stirato, come passato sotto il mattarello per stendere la pasta, un secondo conta tre,
un'ora due, tre giorni sembrano un da sempre. Quello che deve accadere accade ma in un tempo prismatico, relativo.. qui lo chiamano
African Time e sta a significare appunto che le ore, gli appuntamenti ci saranno ma come per la pasta della pizza, bella stesa.
Il mondo visto da qui è come guardarlo dal fondo di una bottiglia di vetro, tutto deformato, distorto, bitorzoluto, ma forse vero.
Ad esempio se nasci in un villaggio dentro la savana devi sperare che di lì ci passi Padre Joe, perché se ci passa lui ci costruisce una scuola e ci fa anche il pozzo, ne ha fatti sino ad ora più di 150 e qui i pozzi significano vita. Le scuole non hanno vetri alle finestre e quando piove, fuori diventa un acquitrino con le galline e i galli a farsi il bagno, ma i banchi ci sono, di legno, come quelli che avevo io in prima elementare, con il piano in discesa e il sediolino che si abbassa come quello del cinema da 'Papariello' e
le maestre pure ci sono con le bacchette lunghissime come quella che aveva la maestra mia che a furia di darmela sulla mano mancina mi ha convinto a scrivere con la diritta. Per arrivarci alla scuola a volte ne devi fare di strada in mezzo alla savana, una strada tutta fango ed erba alta, oppure bassa ma stretta, oppure devi prendere la canoa per arrivare dall'altra parte, oppure devi toglierti le scarpe per il troppo fango, oppure ti devi svegliare tanto presto la mattina che ti sembra di non aver dormito e il gracchiare delle rane somiglia al traffico sul raccordo anulare.
A guardare bene sembra deformato anche il mio di mondo visto da qui, tutto alla rovescia, dove il superfluo diventa necessario e il necessario sembra sparire dietro gli schermi dell'ultimo post. Difficile sempre più difficile dare un senso dove tutti sembrano rincorrersi nella gran savana dell'apparire e pochissimi cercano veramente di essere. Kafkiano doversi mettere in coda allo sportello dell'ennesimo ufficiale culturale sperando che conosca la tua storia... Ed allora diventa vitale venire qui in Africa a verificare lo stato della tua motivazione, scavalcare le zanzare, navigare gli acquitrini, ungersi di Autan, veleggiare le emozioni e specchiarsi negli immensi occhioni grandi e lucidi come laghi infiniti.
Mi manca mio padre quando vengo qui, sul fondo del mondo, sull'orlo della vita, mi manca la sua voce, il suo sguardo, il suo delicato ed immenso sapere, mi manca il suo prendermi sulle gambe e giocare e raccontare e leggere, mi manca il suo latino e il suo francese, mi manca il suo sorriso... ecco... ora capisco meglio perché qui sto meglio: il suo sorriso è quello che oggi ho trovato dopo aver guadato, camminato, perlustrato, sudato, recitato, mascherato, inondato, asciugato, suonato, cantato, raccontato...
Se ti fermi al semaforo ti sembra di essere entrato con la macchina in un centro commerciale con i negozi che
ti vengono incontro, sulle teste delle donne e dei ragazzi c'è di tutto, pomodori e pane, scarpe e scope, polli vivi e fritti, cocchi interi e bevande di ogni tipo.
Un po' più avanti le botteghe dei falegnami sfornano bare per tutti i gusti, a forma di serpente se sei stato un cacciatore, di pesce un pescatore, di bus se sei un autista o una macchina da cucire se sei una sarta. Me la voglio fare qui la bara,con la forma dei miei capelli sparpagliati dappertutto, per essere stato un carciofo spigato con le gambe.
La morte è una gran festa da queste parti, i defunti si preparano per bene, vestiti sgargianti scontornati da luci led e intermittenti.
A turno si canta, si balla, si presentano scenette divertenti che raccontano della vita del morto, tutto in una miscela di rispetto e sfottò che non diventa mai sgradevole.
Vita dura per i mancini, Qui si fa tutto con la destra, ci si saluta, si mangia, si da il resto ..e con la sinistra ? ..ci si pulisce il sedere.. uff proprio a me mi tocca di essere mancino!
Qui il rispetto tra sessi diversi te lo fan capire bene che vuol dire se non ce l'hai di tuo. Per aver provato a importunare una compagna, tutti in ginocchio per 4 ore, quelli che ci hanno provato e quelli che non sono intervenuti in difesa della compagna, a braccia alzate. E chi le abbassa se la vede con la bacchetta.
Non si fanno sconti a nessuno, la sopravvivenza è data dalla capacità di inculcarsi la regola del rispetto.
Il Volta è un fiume grande, il più grande, con sponde piene di verde e spiagge, con le navi arrugginite parcheggiate,
con le isole galleggianti nel mezzo, con i coccodrilli per turisti che si muovono per un'esca, i resort approssimati, con pollo e patatine. Scorre lento, sicuro, inesorabile, l'abbraccio con il mare è poco più in là, il biondo della sabbia con le palme aspetta di accogliere questo fiume saggio che porta i pensieri dei villaggi, i loro sogni, le speranze semplici di un buon raccolto e di un tempo clemente, porta anche un po' i miei di pensieri, dei miei perché, domande che si fanno sempre più grandi ed ingombranti.
Ma che ci facciamo qui nello sprofondo della terra con Pulcinella, la morte, il diavolo e il capitano, con i nasi rossi, due organetti, un tamburo e un firulì firulà , con Marco Renzi e il suo diluvio, tra i padri missionari che a furia di fatica, sudore e il rischio della pelle, sacrificano la loro vita qui, a contar anime e a spartir patate, a fare pozzi, scuole, letti per gli orfani e ospedali per i malati. A cosa serviamo?
Cosa cerchiamo? Gloria? Un posticino al fresco in paradiso? Una bella lavatrice per la coscienza? Un'altra bandierina da aggiungere al già vasto mondo visitato?
Stiamo lavorando duro per preparare il nostro prossimo errore, per dirla con Brecht, oppure facciamo il tagliando alla nostra motivazione?
Non so, ma stare con gli ultimi, donargli anche solo un sorriso mi fa sentire meno solo, anche quando guardo il grande oceano infrangersi sugli scogli di Keta dove furono deportati 15milioni di schiavi da un pugno di bianchi come me...
Alle 5 del mattino senti una voce che da un altoparlante dà la sveglia a tutto il paese qui ad Abor,
annuncia tutto quello che è accaduto e che accadrà in quella giornata , chi è morto , gli ultimi arrivi in ferramenta, quali stoffe sono pronte , se il pozzo ha dei problemi e quando sarà il prossimo funerale, una specie di Radio Formia solo che invece di Zia Lalla al microfono c'è un signore paffuto che lancia la sua voce al di là di quell'imbuto.
Le donne sono il motore colorato di questa società, sono dappertutto e hanno sempre qualcosa da fare o da trasportare o da vendere o da comprare, cariche di figli sulle spalle, avvolte in stoffe che sono sogni colorati, non perdono mai il sorriso, mai, anche se a volte dietro il loro sguardo rassicurante intravvedi tutta la fatica del vivere e qui i panni li lavi a mano e la farina te la trituri con il bastone di bambù e per stirare devi mettere i carboni nel ferro e per
cucinare moltissimi hanno ancora solo il fuoco e i figli sono 5/6 e... i mariti?... Gli uomini...? Che fanno... ?? ad essere sincero ancora non l'ho capito bene cosa fanno, ma questo è così un po' anche da noi in fondo, guidano i camion e i mini bus, le moto taxi e i carretti...
Le lunghe strade rosse che tagliano la savana entrano dentro come lame nella terra, come bave di lumache lucenti, ti fanno scivolare
in un gorgo verde fatto di palme, baobab, cocchi, manioche e piccole paludi, come nei sogni ti senti precipitare senza gravità in un universo avvolgente che poco a poco ti include ti prende con se, ti fa sentire parte di esso, un po' ti culla e un po' ti shakera, nel piccolo pulmino che come una compressa viene mano a mano sempre più inghiottito dal grande mare verde.
Abbiamo oramai abbandonato tutte le nostre difese, le nostre resistenze, siamo in balia dell'affetto e dell'amore di questi bambini, quando ne prendi uno in braccio e si abbandona sulla tua spalla il calore si propaga come il Voltaren su una contrattura, ti scioglie, prendi il suo respiro, senti il suo battito.
In due anni in ogni villaggio dove siamo tornati è successo qualcosa, dove c'era solo una classe in una capanna, ora c'è una scuola, dove non c'era acqua c'è un pozzo, dove c'era solo la chiesa ora c'è una foresteria e un centro polifunzionale per accogliere volontari. La missione è un continuo evolvere affrontando problemi immensi risolvendoli sul campo, trovando risorse
e strade percorribili.
Mauko, l'assistente sociale responsabile, e Frank, il direttore organizzativo, sono sempre a caccia di soluzioni e da ogni villaggio dove andiamo prendono, un sacco di farina, un poco di formaggio, uno, due, tre orfani e li portano in comunità. Dar da mangiare tutti i giorni a 150 bambini e ragazzi non è cosa da poco, soprattutto qui e risparmiare anche un ghanasino è questione di vita o di morte... ed allora mi vergogno un po' dei 3/4 euro al giorno dati al bar per i caffè ed il cornetto, il prosecchino, la birretta, lo stuzzichino e la grappetta, il tramezzino e l'olivetta, a me schiumato, anzi corto ben macchiato, troppo caldo, troppo freddo, prima il latte e poi il caffè, il ginseng decaffeinato, il marocchino al cioccolato, a me in tazza a lui al vetro, in porcellana la tisana... che fatica, che fatica questa nostra vita grama... quasi quasi meglio starsene in pigiama...
Tornare - Vorrei poter avere una scatola di quelle di latta che mia madre ogni tanto comprava,
quelle dei biscotti Doria, alte, rotonde, colorate, profumate, che mi attiravano come la calamita al ferro, per la quale ero disposto a organizzare piani strategici di avvicinamento da far invidia ai reparti speciali antiterrorismo, per la quale rischiavo inseguimenti con ciabatta, trappole subdole dei miei fratelli maggiori sempre pronti a schierarsi con il
potere educativo, silenziosissimi e paurosi strisciamenti notturni nel lungo e buio corridoio di casa, per poter finalmente arrivare alla dispensa dove conquistare la scatola, svotarla dei biscotti e portarla in luogo segreto e nascosto, dove finalmente poterla riempire delle cose preziosissime che necessitavano di un luogo sicuro e soprattutto degno... ziconi di colori, tappetti delle bic, soldatini e carrarmati, biglie di vetro colorate, biglie di ceramica bianchissime, figurine preziose di album ormai in disuso, conchiglie e chele di papiro, porporine, bottoni, perline di Murano e molto molto altro...
Ecco vorrei una scatola così per poterci mettere dentro tutte le cose da non dimenticare di questo viaggio sull'orlo della vita, dove mi sembra aver camminato in questi densi giorni, come aver percorso il bordo di un vulcano potente e attivo, pronto a scatenare la sua forza, ma ancora lì ad aspettare e noi a giocarci intorno, a danzare con le ombre, divertiti a sembrare dei giganti.
Elenco approssimativo delle cose da non dimenticare:
Lo sguardo profondissimo di Padre Joe/ Le mani di tutti i bambini/ Il sorriso malinconico di Mauko/ La determinazione di Frenk/ Il colore della terra/ La scuola con il tetto di paglia/ Il mondo sulla testa delle donne/ I mercati di mille colori/ I mercati di mille suoni/ I mercati di mille odori/ I mercati vuoti nei giorni di festa/
Il cielo con le stelle da toccare/ I funerali con i morti che sembrano felici/ Le lumache più grandi della terra/ I tamburi nella notte/ L'odore della pioggia/ Le onde dell'oceano/ I tuffi tutti insieme/ L'avvistamento dello squalo/ I sughi di Genj/ La manioca e l'ananas/ La papaia e l'avocado/ Marco Renzi e il suo Diluvio/ Sorina e le sue foto/ Dilva, Chiara, Marco, Simona eroi nella savana/ L'Autan e l'amuchina/ Tutti i sorrisi ricevuti/ Le parole non dette/ Le preghiere tentate/ I perché senza risposta/...
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Ci vuole tanto tempo per diventare giovani'... grande Picasso...i permetto di aggiungere...i vuole tanta Africa per diventare VERI.