30 novembre
Siamo tornati in Tunisia dopo 8 mesi e ci hanno accolto come gli studenti fuori sede che rientrano a casa. Un abbraccio fraterno con Dhaker ormai diventato dirigente nell'ufficio amministrativo delle case della cultura di tutta la Tunisia, qualcuno ci ricorda per Pulcinella a Ben Arous, i ragazzi dell'organizzazione ci riconoscono, gli europei sono arrivati.
Torniamo in una Tunisi in pieno fermento, un cantiere vivente che punta dritto allo sviluppo verso il convegno internazionale del 2020, nell'occhio della stampa nazionale per il prodigioso progresso: dalla rivoluzione di 5 anni fa alla democrazia, dall'apertura verso le donne ad una crescita infrastrutturale e turistica. Un paese che cambia dall'interno e respira un'aria nuova, tangibile e visibile.
Ritroviamo la stessa disponibilità di sempre: Tarah, il tecnico del coloratissimo ed antico
Centre nationale des arts de la marionette che si attiva per una baracca per il nostro Giufà, arrivano i primi thè alla menta tunisini, il polveroso autobus anni '60 ci scarrozza in tutti gli spostamenti, tutto ciò che gentilmente chiediamo gentilmente ci viene dato da industriose formichine.
Un'organizzazione culturale invidiabile: case della cultura e centri culturali in ogni quartiere, ogni casa con un teatro attrezzato, polveroso e forse per noi datato ma vivo, attivo, funzionante, aperto ed organizzato per ruoli.
Un'attenzione particolare per la tradizione (l'impiegata dell'amministrazione della
Maison de la marionette racconta la ricerca sui burattini della tradizione e la loro riproduzione) e per la formazione delle nuove generazioni (i maestri ed i professori sono delle istituzioni, si sente un grande bisogno di aumentare l'offerta formativa e le famiglie con attenzione
partecipano ad ogni occasione di studio per i propri figli). Fiumi di bambini animano i teatri per il festival internazionale di teatro per ragazzi di Tunisi in questi giorni di festa per la scuola tunisina con la loro pelle color cioccolato al latte, occhioni grandi e neri ed un sorriso misto a inconfondibile curiosità. Li guardi mentre chiedono foto o ballano al ritmo dell'organetto e sei sempre più convinto che il sorriso negli occhi dei bambini è una bellezza, ovunque.
La difficoltà della lingua c'è ma tra pupazzi, gag, qualche parola in francese, la scena del barbiere, la musica, le tarantelle, la zampogna e il ritmo che serbano nel sangue, il successo è assicurato.
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Se c'è una cosa che caratterizza la gente del Mediterraneo questa è la vocazione a raccontare storie, poveri non hanno altre storie". Termina così il nostro spettacolo
Giufà e il mare. Si avvicina un signore dagli enormi baffi che durante la messa in scena dal pubblico traduceva qualche parola in arabo aiutandoci a far comprendere il racconto. Ci presenta sua figlia come
quasi creatura della terra siciliana ma poi ci pensa e si corregge perchè
siamo tutti figli del Mediterraneo.
1 Dicembre
Dhaker ci presenta suo cognato Agrebi Hamadi e suo nipote. Parlano perfettamente la lingua italiana, nessuna incertezza, pronuncia accurata, padronanza di termini misti anche a detti tipici ('mettere i bastoni tra le ruote').
Agrebi è un insegnate di italiano in Tunisia, ama il nostro Paese e la nostra lingua tanto da averlo scelto come lavoro e come missione. Suo figlio per un mese e mezzo è stato a Ventotene a lezione di vela, sogna dopo la maturità di trasferirsi in Italia come suo fratello che studia lingue a Trieste e non ha alcuna intenzione di tornare in Tunisia.
Racconta la sua carriera da docente ad ispettore, uno degli 8/9 presenti in Tunisia, con progetti dedicati al teatro italiano, all'archeologia, alla rivalutazione del patrimonio culturale attraverso lo studio della lingua italiana tra concorsi, biblioteche scolastiche, uscite fuori porta e giornate speciali. La lingua italiana è tra le materie opzionali più scelte nelle scuole superiori tunisine, alcune parole si ritrovano addirittura nei suoni e nei termini del dialetto locale (d'accordo, carretta...). Si batte continuamente in un braccio di ferro con l'Istituto di Cultura Italiana a Tunisi e con i diversi enti per sostenere le spese delle attività per la promozione dell'italiano, una lingua per lui straniera ma non estranea.
Agrebi e suo figlio raccontano l'Italia dal loro punto di vista, dall'altra parte del mare, di cui invidiano la libertà e le bellezze, la letteratura e la storia, studiano l'origine delle nostre parole e la nostra grammatica con una passione che noi italiani abbiamo smarrito, quasi perso. Un amore non dettato dalla necessità o dal contesto, come per noi imparare l'inglese, ma dall'amore per la melodia, i suoni e le parole della nostra lingua. Ascoltarlo e percepirlo nel racconto di altri fa un certo effetto soprattutto pensando allo stato di salute degli studi della lingua in Italia, ormai per pochi appassionati.
Per un momento ho pensato a Jhumpa Lahiri, scrittrice bengalese che scrive in lingua inglese ma innamorata perdutamente dell'italiano (come racconta nel suo
In altre parole): '
Ogni volta che posso, nello studio, sulla metropolitana, a letto prima di andare a dormire, mi immergo nell'italiano. Entro in un altro territorio, inesplorato, lattiginoso. Una specie di esilio volontario. Sebbene mi trovi ancora in America, mi sento già altrove. Mentre leggo mi sento un'ospite, felice ma disorientata'.
Mi manca in Italia la dimensione della lingua come uno spazio aperto in cui viaggiare, imparare, incontrare, perdersi e ritrovarsi. E se a Tunisi amano la mia lingua quasi più di noi forse bisognerebbe tornare a riassaporarla parola dopo parola, dopo parola.
2 Dicembre
Un omino dai folti baffi bianchi con una paletta di ferro continua a raccogliere mucchietti di polvere con una dedizione quasi maniacale.
Sono 20 anni che archeologici europei e arabi, maestranze ed oprerai tunisini scavano per rimuovere tutta la polvere che ancora sovrasta l'antica città di Uthina. Cento ettari di area archeologica romana del II secolo vicinissima alla città di Tunisi, solo 11 i monumenti già riportati alla luce mentre il 90% dei beni è ancora in attesa di vedere il sole.
Si cammina tra le enormi pietre, tra le gradinate dell'anfiteatro, tra i mosaici delle antiche case, sotto le volte e tra le colonne del tempio di Giove e di Minerva (l'unico del Nord Africa a tre livelli) con lo stupore e la meraviglia negli occhi. Dal 1993 si scava con le mani un'intera collina in una valle di pastori ancora al pascolo con il loro bestiame, in una terra fertilissima dove i romani e gli imperatori avevano costruito quasi una città.
Le scarpe sono sporche di sabbia rossa, le voci degli spettatori sugli spalti, le urla dei gladiatori, degli animali e degli schiavi dell'anello sotterraneo, i sacrifici al tempio, i romani alle terme si possono immaginare come in un libro di storia illustrato. È tutto lù, davanti ai nostri occhi, congelato nei secoli.
Ci accompagnano Dhaker, il direttore del sito storico, l'archeologico che segue gli scavi, arriva una televisione araba per un servizio e qualche intervista. L'orgoglio si legge chiaro nei loro occhi. La Tunisia riparte da qui, dalla cultura, dalla storia, dal patrimonio culturale. La città di Uthina è il simbolo di questa rinascita, di un riscatto atteso che si stanno guadagnando. I primi concerti ed i primi spettacoli iniziano ad abitare l'anfiteatro ed il tempio, arrivano le prime visite guidate con gli studenti, si aggiunge ogni tanto un pannello illustrativo multilingue: si stanno attrezzando, stanno crescendo.
La 'polvere' da spazzare via è ancora tanta ma si riparte da qui: da dove il tempo è rimasto sospeso, dove si possono recuperare le radici, ricostruire quello che è andato perduto e dare nuova vita.
3 Dicembre
Siamo di ritorno. Seduti sulle poltrone del gate è naturale ripercorrere quanto hai visto e, sopratutto, chi hai incontrato. Qui in Tunisia ne incontri di gente, 'scontri' un fiume in piena che si muove per le strade in ciabatte, con le scarpe, in tram, nei polverosi taxi gialli, in macchina, con carretto ed asinello, nei tantissimi caffè (anche se è decisamente meglio il thè).
Abbiamo incontrato ed incrociato tanti volti.
I volti di Dhaker, Mourad, Camel, Latif, Tahar e dei tanti che lavorano nelle case della cultura, per il ministero tunisino, nel mondo del teatro. Molti sono ormai amici, respiriamo l'aria dell'accoglienza sincera: '
Sono felice con il cuore che voi siete felici', ci dice Dhaker.
Marhua che ha fatto decine di chilometri per venirci a salutare prima della partenza, Souvernir ed i tanti giovani incontrati in terra tunisina. C'è chi sogna di venire in Italia, chi ci guarda con un po' di ammirazione e chi di curiosità. Tantissimi i ragazzi che affollano le strade di Tunisi con jeans strappati e maglietta aderente, venditori ambulanti, mentre preparano il pane tipico, urlare alla Medina per incitare all'acquisto, pascolare le pecore nella vallata di fronte alla città antica di Uthina, ragazze con il velo sul capo o coperte dalla testa ai piedi mano nella mano con il fidanzato. Una varietà specchio del momento storico della società tunisina.
Gli occhi profondi affascinanti ed ammalianti delle donne vestite all'occidentale o con lunghi camicioni, con o senza velo. Incantano con il loro sguardo ed il loro sorriso.
Gli occhi dei bambini tunisini neri e profondi che hanno affollato l'atrio della casa della cultura di Tunisi impazienti in attesa del suono della campanella che dà inizio allo spettacolo. I bambini che subito hanno imparato la 'buonanotte' di Pulcinella, pronti a battere le mani al suono della musica, in massa alla ricerca di una foto alla fine dello spettacolo. Per loro siamo venuti a Tunisi ed il loro sorrisi sono il nostro bagaglio immaginario per continuare e perseverare.
Au revoir Tunisia! Grazie